AS ROMA NEWS (Repubblica.it) – Non sarà mai l’ottavo re di Roma come il Pupone, al secolo Francesco Totti, ma nel suo piccolo anche Alessandro Tonolli è un simbolo della Città eterna. Perché a 39 anni il giocatore di Caprino Veronese ha iniziato nei giorni scorsi la sua ventesima stagione con la maglia della Virtus Roma, la squadra di basket della capitale di cui è anche capitano. Una storia che – come spesso capita – inizia quasi per caso.
Vero Tonolli? Racconti un po’…
”E’ la stagione 94-95, io gioco a Brescia, presidente Giorgio Corbelli, sono un giovane di belle e buone speranze che ha da poco vinto il campionato di B2 e sogna la serie A. A Roma si fa male Avenia e Corbelli, che è anche il presidente della Virtus, decide di coprire il buco mandando me nella Capitale. Arrivo a novembre, senza aver fatto la preparazione. Inizia una storia lunga venti anni”.
Com’è l’impatto con la Capitale?
”Ovviamente non semplice per un ragazzo che dalla piccola Mantova si era già trasferito in una grande città come Brescia. Ho avuto la fortuna di convivere in foresteria con altri ragazzi del settore giovanile che mi hanno aiutato a conoscere la città. Oggi, dopo 20 anni, posso dire che Roma è la mia città”.
Come ci si sente ad essere il Totti dei canestri?
”Il confronto non esiste perché Totti è un fenomeno, come presenze e attaccamento alla squadra abbiamo seguito un po’ lo stesso percorso, solo che lui è romano e io invece un mantovano trapiantato a Roma”.
Chi è il compagno più forte con cui ha giocato?
”Senza dubbio Bodiroga, un campione incredibile che faceva giocate mostruose con una naturalezza spaventosa”.
Il più simpatico?
”Ne dico due, Hugo Sconochini e Jacopo Giachetti”.
L’episodio che non dimenticherà mai?
”Partita casalinga di Eurolega finita intorno alle 23. Perdiamo, nello spogliatoio l’allenatore è nero per la sconfitta e ordina allenamento per le 6 del giorno successivo, dove per 6 si intende le 18 del pomeriggio. Uno dei miei compagni non capisce e il giorno dopo si presenta al palazzetto alle 6 del mattino”.
La partita che vorrebbe rigiocare?
”La finale di coppa Italia del 2006 persa con Napoli. Resto convinto che eravamo superiori”.
Quella che non dimenticherà mai?
”Non è una partita ma una stagione, anzi due. L’ultima, davvero fantastica non solo per i risultati, inaspettati, quanto per il gruppo che si è creato. E poi il 2000, l’anno della Supercoppa”.
A quale allenatore deve di più?
”Senza dubbio Vujosevic. A Brescia mi prese sotto la sua ala protettiva insegnandomi la cultura del lavoro. E’ stato decisivo. Poi dico Repesa, Pesic e infine Caja a cui sono particolarmente legato, mi ha voluto a Roma e mi ha fatto giocare”.
Non fosse diventato un giocatore cosa sarebbe oggi?
”Me lo sono chiesto tante volte ma proprio non ne ho idea. Dopo il liceo ho provato l’università, mi sono iscritto a Scienze Politiche ma ho abbandonato perché non riuscivo a conciliare i due impegni”.
Cos’è il basket?
”E’ la vita. Da quando ho iniziato a giocare vivo in funzione del basket, tutta la mia giornata è improntata in funzione dell’allenamento, della partita”.
Quanto è dura allenarsi al massimo ma non giocare praticamente mai?
”Non è facile perché tutta la settimana e gli allenamenti sono improntati alla partita. Ti alleni in funzione della partita che giocherai. Io mi alleno in funzione della partita che non giocherò. Mentalmente non è un lavoro facilissimo, io cerco di dare comunque il mio contributo in un altro modo, consigliando il più giovane, spiegando dei movimenti all’americano ancora acerbo”.
Il futuro?
”Questo sarà il mio ultimo anno da giocatore, ci tenevo tantissimo ad arrivare a 20 anni di Virtus e ringrazio il presidente Toti per avermi dato questa opportunità. Voglio restare in questo mondo, è quello in cui ho vissuto, che mi ha dato tanto e a cui posso dare ancora tanto anche se in un altro ruolo”.
Cosa non le piace del basket di oggi?
”I troppi stranieri. Ho giocato negli anni in cui per regolamento gli stranieri erano solo due e devo dire che era tutta un’altra cosa. Negli ultimi anni il basket è cambiato, si è avvicinato sempre più a quello americano, anche nelle regole. Per un giovane oggi non è facile trovare spazio, a meno che non dimostri grandissimo talento, come Gallinari o Gentile. E poi come sempre serve la giusta dose di fortuna. Prendete il caso di Datome. Gigi è un grande giocatore ma forse non sarebbe esploso lo scorso anno se non avesse trovato a Roma le condizioni ideali per esaltare il suo gioco”.
20 anni di Virtus in una sola parola?
”Direi fortunato. Ho avuto la possibilità di fare una carriera in una bellissima città, non abbiamo vinto molto (una Supercoppa, ndr) ma non ho alcun tipo di rammarico, posso dire di aver dato tutto”.