PRANDELLI: “Il futuro si chiama Roma”

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IL MESSAGGERO – U- Trani  – «Fa piacere che il mio nome sia accostato di nuovo alla Roma, ma io ora penso solo alle qualificazioni mondiali. Dopo il Brasile vedremo, sono ancora giovane… Il campo mi manca tanto, vorrei viverlo tutti i giorni con i giocatori e in nazionale non è possibile».

Accompagnato dal sole che scalda Firenze, Cesare Prandelli scende da Pian dei Giullari fino a Coverciano, dal suo rifugio fiorentino sopra piazzale Michelangelo a Casa Italia sotto la collina di Fiesole. E ricorda la sua brevissima parentesi da allenatore della Roma di Sensi, Baldini e Totti, lui che da calciatore è stato nella Juve di Boniperti, Trapattoni e Platini. Sabato sera all’Olimpico la sfida tra le sue due ex squadre. Il cittì non dà peso alla classifica. «Sarà un match aperto, da gustare».

Sono tanti i 21 punti tra la prima e la nona. Si aspettava la Roma così distante dalla vetta?
«No. Io credo dall’inizio nell’idea di calcio che portano avanti a Trigoria. Ma i giallorossi hanno la necessità di fare esperienza. In un anno e mezzo è dura diventare una squadra da vertice, cioè che possa avere la continuità per resistere ad alto livello. Più che la Roma ad avere pochi punti, può darsi che la Juve e lo stesso Napoli ne abbiano tanti… Mettiamola così. Sono andate forte le due davanti».

 

Spieghi perché il pronostisco non è scritto in partenza?
«Mi incuriosisce questa sfida. Sono due squadre che vogliono raggiungere la vittoria con uno spirito diverso. Se la Juve è quella che ha battuto il Celtic, arrembante e aggressiva, con una spiccata identità, la Roma è sempre imprevedibile, per tecnica e fantasia».

Due anni e mezzo fa, quando puntò sul blocco Juve per la nazionale, fu criticato perché prendeva uomini della squadra settima in campionato. Adesso spopolano in Italia e in Europa come replica? 
«Guardo come è cresciuta dall’agosto del 2010. Ha Pirlo in più. E soprattutto c’è Conte. Il grande merito di Antonio è di aver trasmesso la mentalità e la determinazione che prima non c’erano. Non bastano pochi giorni, conta il lavoro quotidiano».

Anche Prandelli, però, ha partecipato.
«Questa Juve è nata dalla mia prima nazionale. Io pensai di creare un gruppo basandomi su gente come Chiellini e Buffon: loro e gli altri italiani erano la matrice forte. Di carattere. Poi la società in due anni ha inserito pedine che hanno migliorato la squadra. Rendendola più tecnica e quindi più competitiva»

 

Senza gli stage, con gli juventini va sul sicuro. Si sente lo stesso allenatore?
«Certo, ma è chiaro che avendo meno tempo, è più facile assemblare i giocatori. Ora, poi, c’è anche il Milan. Il mio sogno è avere due blocchi, come la Spagna campione del mondo che ha come riferimento Barcellona e Real Madrid. Sfrutterei quanto fatto quotidianamente da Allegri e Conte».

 

Si fida così tanto dei suoi colleghi?
«Sì e anche delle società. Il club rossonero e la Roma hanno il progetto tecnico più interessante. Per il nostro calcio e per la mia Italia. Perché puntano sui giovani: il Milan, ad esempio, ha spesso titolari quattro ragazzi del ’92. In più c’è Balotelli. E anche i dirigenti giallorossi, già dall’anno scorso, hanno chiamato tanti ragazzi con caratteristiche differenti ma comunque di qualità. E il mio calcio è quello».

 

Perché allora Zeman, tecnico capace con i giovani, è stato mandato via?
«L’esonero fa parte purtroppo del nostro mestiere quando non vengono i risultati. La strada giusta è però quella intrapresa dalla nuova proprietà, bisogna solo avere ancora un po’ di pazienza. Non considero un fallimento quello di Zeman, termine che non mi piace. Perché se non si fanno punti, dipende dalle varie componenti. Bisogna rendersi conto che il responsabile o colpevole, come si dice nel nostro ambiente, non può mai essere solo uno. Forse, a vedere da lontano la situazione, non si è formato un corpo unico tra staff tecnico e dirigenza, mentre bisogna sempre condividere totalmente, all’interno, scelte e programmi».

 

Osvaldo contestato: perché non riesce a rimanere due anni nello stesso club?
«Mi dispiace per quello che sta passando. Lui sa quello che gli ho detto. In nazionale e quando, più giovane, era con a Firenze. Ha potenzialità enormi ma per esprimerle deve avere una serenità assoluta che spesso, come ammette pure lui, gli manca. E fare un passo alla volta senza crearsi troppe aspettative o fissarsi obiettivi irraggiungibili. Io non lo portai all’Europeo perché ha avuto sbalzi caratteriali nel finale della scorsa stagione. È bravo, generoso e altruista. Questo anche per spiegare l’episodio di Marassi. E i rigori lui li tira così…».

 

Cassano, Balotelli e Osvaldo: gli attaccanti ingestibili se li va a proprio a cercare. Perché?
«Ho avuto anche Mutu e Adriano… Sono loro i giocatori che ti danno qualcosa in più. O, è vero, in meno. Io sono amico di Gigi Riva che lavora non noi. Un mito. Anche lui da giovane aveva un carattere particolare, ma ha il record di gol in nazionale e ti faceva vincere le partite. In loro c’è l’imponderabile. Garantiscono la fantasia e l’imprevedibilità. Devi poi mettere in preventivo qualche sbandata che non agevola la formazione del gruppo. Chiaro che poi Gilardino è affidabile sempre. Ma siamo diventati vicecampioni d’Europa per il progetto tecnico e non grazie al codice etico».

La Roma si è fatta sfilare Verratti sul più bello e la Juve invece può riportarlo in Italia. Il piccolo regista è proprio così bravo?
«Un talento. Ma si deve completare, evitando le scivolate per rubar palla. Se non la prendi, nel suo ruolo, scopri la difesa. Ma Ancelotti è tra i più bravi al mondo. L’avventura al Psg gli sarà utile».

Il rapporto con Franco Baldini è sempre lo stesso?
«Certo. E va oltre l’amicizia. Mi volle alla Roma e, quando lasciai dopo poche settimane l’incarico, gli dissi che avrei accettato un’altra proposta solo se lui mi avesse dato il via libera. Lo ripetevo a tutti i club che mi contattarono. Lui poi lasciò la società giallorossa, io venni a Firenze e a Trigoria chiamarono Spalletti. Andò bene a tutti: la Fiorentina e la Roma, in quel periodo, giocarono un bel calcio».

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