«Lo stadio della Roma era il pallino di papà»

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stadio franco sensi

AS ROMA NEWS (IL TEMPO, R. SENSI) Lo stadio della Roma? È un ricordo che ho sin da bambina quando sentivo parlare nella mia famiglia di come il presidente della Roma dell’epoca Dino Viola avesse avvertito la necessità di dare alla squadra e ai suoi tifosi, uno stadio di proprietà. Questa era più che un’idea poi cancellata dagli eventi. Mio padre Franco Sensi, con la stessa volontà con gli stessi sentimenti, riprese ad affrontare questo tema, sentendo fortemente il bisogno di completare un progetto che non si concentrasse solamente sull’aspetto puramente «tecnico» ma anche su basi che avrebbero reso la Roma una società sempre più importante, sia a livello nazionale che internazionale. «Tutto questo impegno», sosteneva mio padre Franco Sensi, «ora deve continuare con la costruzione dello stadio di proprietà». E così, tempo dopo, partecipò alla gara per l’acquisto dello Stadio Olimpico, messo in vendita dal ministero del Tesoro nel quadro del privatizzazione del Parco del Foro Italico. Questa procedura fu sospesa dal TAR su richiesta del Coni, e stranamente, poi non si entrò mai nel merito della questione, secondo schemi molto «italiani» purtroppo…

L’Olimpico non è mai stato uno stadio per il calcio, ma mio padre aveva capito quanto fosse importante la proprietà dell’impianto e, pur di garantire questo alla Roma, aveva accettato il compromesso di uno stadio non ideale, come lo avrebbe voluto, e si accontentò pur di assicurarlo alla Roma di possederlo parzialmente al cinquanta per cento di reale patrimonio giallorosso. Ma la tenacia e la determinazione sono sempre state qualità che hanno permesso a mio padre di raggiungere il suo successo e così da quel giorno lo stadio, dopo le vittorie sul campo della squadra, sino allo scudetto vinto del 2001 era diventato un obiettivo primario nella nostra gestione. Devo ammettere che queste sue doti le ha ben inculcate e trasmesse anche a noi figlie, per cui quando lui non ha più potuto combattere in prima linea, per me è stato inevitabile mettere l’ «elmetto» e continuare quel percorso. Ho ripreso la «storia» dello stadio della Roma per sottolineare come sia la sottoscritta che tutti i miei collaboratori eravamo ben consapevoli delle difficoltà che avremmo trovato sul nostro cammino. Oltre al fatto che tutti a Roma erano diventati architetti, ingegneri ed advisors, era forte dentro di noi la responsabilità di quello che stavamo intraprendendo e soprattutto di scegliere il meglio per la Roma e per i suoi tifosi.

Ci siamo così rivolti a soggetti di profilo internazionale, società che avevano in gestione il nuovo stadio di Wembley a Londra e il Maracanà di Rio de Janeiro in vista della Coppa del Mondo, oltre a società e professionisti italiani che sapessero coniugare la modernità con il gusto e lo stile che solo noi italiani sappiamo avere. Le nostre ricerche sono rimaste un piccolo contributo a garanzia del futuro. Decine sono stati i terreni esaminati tra cui Tor di Valle, Anagnina , Trionfale e molti altri, ma alla fine la scelta è ricaduta sul terreno di Massimina sull’Aurelia. Scelta dovuta non solo alla localizzazione ottimale, appena all’esterno del Grande Raccordo Anulare ma anche per una serie di opere che permettevano di rendere tutta l’area circostante idonea per l’affluenza delle persone e adatta a garantire la sicurezza delle stesse.

Purtroppo questo lungo percorso mio padre non è riuscito a seguirlo fino in fondo ed allora molto naturalmente siamo arrivati all’idea di dedicargli lo Stadio Franco Sensi, non solo per amore filiale ma soprattutto per ringraziarlo sempre ed infinitamente di quello che ha fatto per la Roma. Lo Stadio Franco Sensi sarebbe stato uno stadio innovativo, ad emissioni zero con l’autosostenibilità energetica, display esterni visibili tutta la settimana da un’arteria importante quale l’Aurelia (milioni di contatti) e non solo. Come diceva mio padre «la casa dei tifosi e quindi un posto sicuro ed accogliente dove i romanisti si potevano sentire a casa propria».

Le ricerche svolte erano sorprendenti: i romanisti si dichiaravano disposti ad andare nel «loro» stadio due ore prima della partita e con la volontà di non uscire dall’impianto a gara finita, ma un’ora dopo. La distanza dal centro non era un problema, anche per i collegamenti e parcheggi. Dopo un lunghissimo lavoro eravamo giunti finalmente ad avere un vero e proprio progetto da sviluppare e così con grande orgoglio fissammo la data di presentazione dello stesso per far conoscere ai tifosi quella che sarebbe stata la loro «casa» . Purtroppo il nostro percorso si fermò davanti ad altri problemi, l’accordo con Unicredit non ci permetteva di continuare a sviluppare questo progetto, fortemente voluto da tutti noi ed in primis da mio padre. Quando abbiamo lasciato la Roma, un sogno è rimasto nel cuore mio e della mia famiglia, quello che anche in futuro si potesse realizzare quello stadio che Franco Sensi, precorrendo i tempi, aveva ritenuto indispensabile per rendere la Roma sempre più competitiva ed importante.

Papà sapeva bene che la Roma fino agli anni ottanta si era dimostrata leader per spettatori ed incassi a livello nazionale, lamentando di non poter sfruttare minimamente il corporate e le pubbliche relazioni, riservate al CONI proprietario dell’impianto. Oggi solo la gestione del corporate vale il settanta per cento degli incassi nei principali impianti del mondo e in questo settore la società giallorossa batte qualsiasi avversario, potendo contare su un bacino di sei milioni di persone, con l’indispensabile necessità di ogni grande azienda di essere presente nelle iniziative che consentiranno di gestire rapporti con le istituzioni (governo, parlamento, enti locali), diplomazia (siamo nella capitale del paese), e di sviluppare rapporti di diplomazia con vip ed organizzazioni nazionali e internazionali e persino il vaticano. L’oro della Roma è anche nello stadio. Per mezzo secolo è rimasto sepolto nella collina di Monte Mario. Oggi più di ieri lo stadio di proprietà è diventato un’esigenza di tutte le società di calcio italiane per essere competitive in Europa e nel mondo.

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