AS ROMA NEWS (IL MESSAGGERO, P. MEI) – È scomparso ieri a 92 anni il Fornaretto che, ragazzetto, pedalava su per la salita che da Squarciarelli porta a Frascati; pedalava che neanche il Coppi di quei tempi che stava per nascere Campionissimo da garzone di salumeria che era. Era il 1936: pedalava per tornare in fretta al forno di famiglia, gli Amadei, maestri impastatori dal 1876, perché in casa non indagassero troppo su quella che non era la solita uscita in bici per consegnare pane a domicilio. Perché il ragazzo Amadei, quindicenne appena, quel giorno non aveva con sé pagnotte e ciriole appena sfornate e calde, ma un sogno: era sceso a Testaccio, al campo del mito, per un provino alla Roma. Lo aveva fatto: superato lo avrebbe saputo più tardi, grazie a un contratto da un impermeabile una tantum e 800 lire al mese: poté dirlo in casa e mettere i soldi sul tavolo e sorridere vi aiuto io.
UN’ALTRA VITA
Cominciava un’altra vita: la nascita di un campione, a dirla tutta, sarebbe stata il 2 maggio 1937, quando a 15 anni, 9 mesi e sei giorni («Nove giorni meno di Rivera; quando vedo un ragazzino di quindici anni che si dà da fare, gli dico: vacci piano, aspetta un po’»; sette giorni dopo il primo gol dei 174 in 423 partite, media 0,41: anche qui il gol più giovane di sempre.
IL TRICOLORE NEL 41-42
La nascita di un re: perché Amadei fu il primo degli ottavi re di Roma che stanno seguendo i primi sette, Romolo compreso, da quando la Magica è Maggica, il che lui contribuì a fare essendo il cannoniere del primo scudetto giallorosso, stagione 1941-42, un premio di 500 lire a partita, totale 15 mila, importanti per il prosieguo della vita, quando ci fu da ricostruire il forno che i bombardamenti americani avevano distrutto e da vivere senza calcio per la squalifica a vita che gli piovve addosso in una semifinale di Coppa Italia, il giorno che per un gol contestato i romanisti accerchiarono il guardalinee, qualcuno (non lui) colpì le parti basse dello stesso con un calcione e l’arbitro, come allo schiaffo del soldato, credette di individuare nel cannoniere il colpevole. Lo salvò anni dopo una amnistia; in quei giorni dello scudetto lo salvò da una spedizione in Grecia una licenza di convalescenza di 25 giorni che fu il premio del colonnello ai bersaglieri campioni della Roma.
QUASI SINDACO
Ottavo re di Roma, ma fu anche sul punto di divenirne sindaco: a un’elezione comunale ebbe 18 mila preferenze, che allora c’erano, secondo fra gli eletti dopo il votatissimo Rebecchini. Era già dell’Inter, ai tempi: il passaggio in nerazzurro avvenne perché la Roma stava alla frutta economica e ottenne in cambio due giocatori, più un terzo girato dall’Inter al Bari. «Ne valevo tre» avrebbe scherzato Amadei. Che volle una clausola di salvaguardia che l’avrebbe liberato dal giocare contro la sua Roma negli scontri diretti, se i giallorossi fossero stati in difficoltà. Si dirà tecnicamente che aveva scatto e velocità («Non mi prendevano nemmeno col laccio quando partivo, ma di testa non la beccavo mai: ho fatto solo tre gol così»): cominciò all’ala poi Schaffer lo fece centravanti quando Provvidente si fece male. «Giocai talmente bene che quello cominciò a fare le valigie», scherzava Amadei.
I NUMERI AL LOTTO
Poteva ormai sognare segnando: un sogno la notte prima della partita di Venezia che lanciò la Roma verso lo scudetto rivelò all’Amadei dormiente i numeri al lotto. Li giocò e fece l’ambo; sul campo fece il gol della vittoria. Un gol da ricordare, come quello contro l’Inghilterra a Firenze, in azzurro Italia. Non che abbia avuto un gran rapporto con la Nazionale: Vittorio Pozzo non lo vedeva e poi c’era il Grande Torino. Dopo ha anche allenato: il Napoli di Lauro e poi più niente, se non le azzurre, e “a gratis”. «Lauro mi faceva vedere i telegrammi degli allenatori disoccupati che si offrivano al posto mio quando le cose andavano male. Non volevo finire così» ha detto. Non è finito così: è finito nella prima squadra dell’Hall of Fame romanista. Fornaretto per sempre.